design e senso di condivisione

Dopo anni di corse e investimenti personali per esserci (perché volevo esserci), per la prima volta quest’anno ho vissuto la design week vestita da turista in gita a Milano e a dirla tutta mi sono divertita moltissimo. Come se fossi alla mia prima vacanza premio post laurea, che non ho mai fatto, ho incontrato molti amici, fatto diversi aperitivi e anche qualche cena. Ho visto molto, ma in ogni caso non credo di aver superato il trenta per cento degli allestimenti possibili, ho parlato veramente poco di design e il motivo mi sembra sufficientemente evidente. Nella moltitudine infinita degli eventi a disposizione il rischio più grande è perdere il focus. Analizzando la settimana dai due possibili punti di vista di un architetto, una manifestazione così strutturata, ritengo non consenta né di percepire le novità offerte dal mercato né tantomeno di conoscere nuovi brand con cui potenzialmente avviare collaborazioni. Così ho corso come tutti da una parte all’altra della città con una agenda ben programmata su cosa fare e cosa decisamente evitare (dove tutti erano in fila per ore sicuramente non c’ero io) e mi sono limitata ad un sano networking, che poi alla fine nella vita torna sempre utile. Se qualcuno ancora si sta domandando perché ho scelto di partecipare solo con un piccolo evento, la risposta sta nella natura dei mie progetti. Non lavorando con l’industria ma con piccoli brand e lavori autoprodotti, ho preferito rimandare la presentazione dei mie progetti ad un tempo più lento in cui si possa apprezzare la ricerca e lo sviluppo di determinati percorsi. Confido nel mio istinto e nella capacità di analisi sociale che in alcuni momenti mi spinge a fare un passo indietro. D’altra parte non so in futuro quanti giovani designer o piccole aziende si sentiranno di competere con Gucci.

I pochi progetti che ho trovato interessanti avevano in comune l’entusiasmo di realtà giovani e indipendenti (Convey e Villa Clea), qualche focus sui materiali (Duo double feature Fenix - Elle Decor Material Home) e quel leggero senso di smarrimento che aiuta a superare il gradino dell’estetica e trasformare il design in motore culturale con un dichiarato manifesto di valori (Formafantasma - La casa dentro). Non avrei mai giurato di scriverlo ma la mia grande sorpresa è stata Rho Fiera. Il luogo che ho sempre odiato mi ha restituito in parte quello che per le vie del fuorisalone si è perso: un’idea di casa e di progetto. Che se ne parli bene o male, come sempre mi dichiaro felice per aver scelto Milano come città in cui vivere e lavorare e sono grata al gelato dell’Ikea con cui ogni anno chiudo serenamente la mia design week.

Quello che non ho scritto io lo ha fatto lei. Da leggere what-do-you-do-who-are-you di Ilenia Martini


valori e community, che ruolo hanno nel mondo del design?

Me lo domando di frequente nell’ultimo periodo anche se è un tema che mi appartiene da sempre. Ho aperto un blog contemporaneamente al mio studio di progettazione. Ho sentito da sempre l’esigenza di costruire una community prima ancora di ricevere incarichi. Immagino che se stai leggendo questa newsletter hai provato in questo spazio un senso di appartenenza, un sentire comune che ti spinge ad approfondire i miei percorsi (mentali). Credo sia lo stesso motivo che ha spinto alcuni ad entrare nella mia casa o a partecipare ai miei workshop. Un processo istintivo per me, che ho definito pian piano i valori su cui volevo costruire il mio percorso professionale anche grazie al supporto di questa community. Il design non nasce inclusivo, mi domando se ha ancora senso parlare di condivisione in un periodo in cui siamo sempre più disconnessi dall’interazione con gli altri? Avverto che il tema dell’autenticità e dei valori condivisi sia fondamentale per creare un legame con un professionista o con un brand. Me lo ha confermato Napoli più che Milano. Ma sento anche un forte senso di scetticismo che porta le persone ad allontanarsi e a chiudersi in se stesse, come se questa iperconnessione ci avesse lasciato soli e aggravato il senso di frustrazione. Nell’ottica di una scelta consapevole della propria esperienza di acquisto (prodotto/servizio) ognuno si avvicina a ciò in cui si rivede o dove si sente compreso. I brand dovrebbero fornire esperienze e connessioni che riflettono i loro valori non necessariamente attraverso il prodotto. Mi piacerebbe davvero sapere cosa pensi di makeyourhome e in cosa ti identifichi, ne riparliamo su Instagram presto.

Alcune donne che lavorano nel mondo del design hanno analizzato questo processo. Can We Still Foster Real Community?



LA MODA E LA DESIGN WEEK

Molti non gradiscono ma ormai la moda c’è e difficile che si schioda. Da Gucci a Bottega Veneta, passando per l’ormai consueto Hermes alla Pelota è tutto un tripudio di riedizioni e grandi maestri, che esaltano e raccontano i valori dei brand. (Appunto, la moda sa bene come trattare quello spirito di connessione con l’utente). Il sistema del fashion ha probabilmente capito che attraverso il Fuorisalone raggiunge il pubblico in maniera più immediata ma non diciamo democratica, sempre di lusso parliamo. Anche John Richmond in collaborazione con Formitalia, presenta per la prima volta una collezione dedicata alla casa dove il denim e le stampe tatoo vestono l’arredo con un abito iconico. Fuori dagli schemi, ma personalmente il mio preferito, l’approccio di Prada che fa quello che avrebbero dovuto fare altri esplorando il tema “Being Home” una riflessione sull’ambiente domestico. Il simposio ha offerto una visione della casa non più solo come rifugio di conforto, ma come un centro dinamico, un’infrastruttura di servizi in continua evoluzione che ha giocato un ruolo cruciale nella modellazione delle norme socioeconomiche delle nostre comunità. Leggi l’articolo completo su Elle Decor.it

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